Si avvicinano le tanto attese feste natalizie e cosa possiamo preparare di speciale con le bontà dell’Orto?
Il pranzo di Natale a Napoli – e nelle aree interne della Campania – si apre tradizionalmente con un’indissolubile unione vegetale e animale nella quale confluiscono, sublimandosi in una mirabile fusione tra sei tipi di verdure (broccoli di rape, broccoli di foglie, cicorielle, torzelle, cappucce e scarolelle) e tre di carne (manzo, pollo e maiale, di quest’ultimo però bisogna selezionare addirittura sette “luoghi”: uoss’ ‘e prosciutto, cotiche, mascariello, vuccularo, lardo, nnoglie e verrinia). Si tratta, è evidente, della prelibatissima minestra maritata (chiamata anche pignato grasso o  minestra di foglia alla napoletana) definita dal celebre gastronomo Ippolito Cavalcanti Duca di Buonvicino l’ideale acconciastommaco nel suo trattato Cucina teorico-pratica  (1837), simbolo di buon auspicio per il nuovo anno che sta arrivando.

Quello tra verdure e carni è un matrimonio che regge ormai da secoli, come dimostrato da Antonio Latini ne “Lo scalco alla moderna ovvero L’arte di ben disporre i Convitti”, pubblicato a Napoli nel 1694:

 

Si piglia una gallina e si mette a bollire insieme con la vacca, quando questa sarà più che mezza cotta, acciochè
la gallina non si disfaccia; e vi si mettono dentro lingue salate di porco, ma bollite, carne salata che prima sia
stata a mollo, una soppressata, un pezzo di filetto, un pezzo di vestresca di porco, ossa mastre, annoglio, un
pezzo di lardo battuto con il suo sale, a proporzione; e quando saranno le sopradette robbe cotte, metterai il
brodo che raccoglierai dentro un tegame, tagliando le sopraddette robbe in fette e la gallina ancora o cappone;
tenendo ogni cosa da parte, metterai nel brodo un terzo della suddetta robba tagliata, e poi v’aggiungerai torzi
ripieni cocuzze e cipolle parimenti ripiene di vitella battuta con rossi d’ova, un poco di mollica di pane ammolato
nel brodo, passarina, pignoli, a suo tempo, acini d’agresta e il pastume che avrai fatto servirà per riempire tutte
le sopraddette robbe con le solite spezierie ed erbette odorifere. Vi potrai anche aggiungere lattura o la scarola
ripiena; l’altra carne che sarà restata, l’anderai accomodando con ordine dentro il tegame o in un altro vaso,
framezzata con fettarelle di fianchetto ripieno, con zizza prima bollita, salsiccia spaccata per metà; levatele la
sua pelle, fette sottili di cascio parmiggiano grattato, fonghi di Genova, prima dissalati e bolliti con ossa mastre,
avvertendo che sia il brodo buono, che sarà una minestra di buon gusto, e si potrà fare una qualsivoglia
conversazione, che sempre riuscirà gustosa, quando si osserveranno le suddette regole e molte volte io ho fatto
portare, queste minestre, in tavola, con tutto il tegame, che riescono di vista, e miglior sapore, e si possono
spartire ne i piatti.

Quindi, ricapitolando gli ingredienti fondamentali: cicoria, piccole scarole (scarulelle), verza e borragine, che ne conferisce una nota amarostica. In qualche variante si usa anche la catalogna (le cosiddette puntarelle). La carne è tipicamente di maiale, come tracchie, salsicce e altri tagli.  Il piatto sembrerebbe essere arrivato nel nostro Paese solo nel XIV secolo con la dominazione spagnola: in penisola iberica, infatti, esiste una zuppa chiamata Olla Potrida, una ricetta della tradizione che richiama per gli ingredienti impiegati la minestra maritata: si presenta infatti come un minestrone molto sostanzioso e ricco di diversi pezzi di carne e spezie. Valorizzata soprattutto dalla cucina napoletana e irpina, la minestra maritata è diffusa anche in altri parti d’Italia, è tipica infatti della cultura gastronomica ciociara, dove viene considerata una ricetta tradizionale.