Dalla lontana Cina arriva la credenza che i piselli siano simbolo di felicità e fortuna: l’antica usanza locale vuole che i contadini debbano seminare grano e piselli in vasi di porcellana nella notte del settimo giorno della settima luna per poi, successivamente, legare gli steli con nastri di seta rossa e blu. Un rito di buon auspicio battezzato “Piantare il principio della vita”.  Nel diciannovesimo secolo, invece, il biologo e matematico Gregor Mendel, conosciuto come padre della genetica, si servì delle varietà Pisum sativum per condurre i suoi famosi esperimenti. Coltivò e analizzò per circa sette anni ben 28mila piante di piselli per arrivare alla formulazione delle sue celebri Leggi dell’ereditarietà.

Da sempre i piselli fanno parte della nostra dieta quotidiana. Insieme ad alcuni cereali e a altre leguminose (come lenticchie e ceci), il pisello fu una delle prime specie coltivate dall’uomo quando, circa 8mila anni fa, nacque l’agricoltura. La coltura del pisello nell’antichità era praticata di Greci, Etruschi e Romani, come risulta in numerose citazioni letterarie, e nel Medioevo i piselli secchi, facili da conservare, erano una delle principali risorse alimentari della popolazione dell’epoca. Nel XIV secolo, alla corte dei Medici fu selezionata una varietà nana da consumare fresca, i cosiddetti piselli novelli: nacque così la moda gastronomica nelle classi più agiate di consumarli freschi.

Nel corso del tempo i contadini hanno selezionato diverse varietà locali anche nel nostro territorio, tra cui il cosiddetto pisello centogiorni, coltivato nell’area del Vesuvio da almeno un secolo e oggi considerato a rischio di estinzione, viene ospitato anche all’interno dell’Orto in Campania. Il suo nome è legato alla durata media del ciclo produttivo. Si semina in campo aperto tra novembre e aprile, spesso in consociazione con l’albicocco e il ciliegio, in alcuni casi con la vite, e non deve essere irrigato. Le piante sono rampicanti e hanno bisogno del supporto di pali in legno e fili intrecciati. Tutte le fasi sono manuali, dalla semina (a file singole) alla raccolta dei baccelli freschi, che è lunga e scalare. I piselli si mangiano verdi, allo stadio “ceroso”, oppure secchi, quando i semi assumono un colore beige. Apprezzato per l’estrema dolcezza e la consistenza tenera della buccia, si abbina molto bene ai piatti di carne ma soprattutto al re della cucina napoletana: il baccalà. E ovviamente i centogiorni sono l’ingrediente cardine della pasta e piselli napoletana: i piselli sono fatti cuocere con cipolla e pancetta prima di aggiungere i classici tubetti o pasta mista.

Come tante altre importanti testimonianze della biodiversità campana, i suoi semi sono conservati nella Banca regionale del Germoplasma della Campania e grazie al lavoro di un gruppo di ricercatori e al supporto di alcuni coltivatori, l’interesse per questo legume sta tornando in auge nella zona vesuviana.
L’attenzione rinnovata verso questa storica coltura ha fatto sì che dall’opera della ricercatrice agronomica Patrizia Spigno insieme alla locale Condotta Slow Food del Vesuvio e ad alcune piccole aziende agricole a conduzione familiare (tra cui citiamo Vera Verrone, Vincenzo Egizio e Bruno Sodano) nascesse il Presidio Slow Food del pisello centogiorni, facendo avviare un percorso importante di valorizzazione e tutela.